Lecture par Cinzia Dezi
Durée: 02:56 min.
Forse è vero: la letteratura è immorale, è immorale attendervi. Sarebbe già intollerabile se essa prescindesse affatto dal dolore dell’uomo, se si rifiutasse di medicarne le arcaiche piaghe; ma, con insolenza, con industriosa pazienza, essa fruga e cerca e cava fuori affanni, e malattie, e morti: con appassionata indifferenza, con sdegnato furore, con cinismo ostinato li sceglie, giustappone, scuce, manipola, ritaglia. Una piaga purulenta si gonfia in metafora, una strage non è che un’iperbole, la follia un’arguzia per deformare irreparabilmente il linguaggio, scoprirgli moti, gesti, esiti imprevedibili. Ogni sofferenza non è che un modo di disporsi del linguaggio, un suo modo di agire.
Non v’è dubbio: la letteratura è cinica. Non v’è lascivia che non le si addica, non sentimento ignobile, odio, rancore, sadismo che non la rallegri, non tragedia che gelidamente non la ecciti, e solleciti la cauta, maliziosa intelligenza che la governa. E si veda, per contro, quanto peritosamente, con quale ingegnoso sarcasmo maneggi gli indizi dell’onesto.
Assai antica è l’ira dei dabbene per la letteratura. Da secoli viene accusata di frode, di corruzione, di empietà. O è inutile o è velenosa. Dissacrante, perversa, affascina e sgomenta. Numinosa e mutevole, non esita ad usare degli dèi per adornare le sue favole.